Papa
Benedetto XVI si è dimesso. Non è un fatto che accada tutti i giorni! Prima di
lui, 700 anni or sono, si era dimesso Celestino V, il papa del gran rifiuto.
Chi era Celestino? La sua figura si delinea sullo sfondo della Chiesa del suo
tempo, delle lotte intestine tra chi vede la fede come scelta di vita e di
povertà evangelica e chi la vede come strumento di ricchezza e potere. C’è un
bel libro su Celestino, ed è stato scritto da Ignazio Silone (edito da
Mondadori).
La
citazione che segue è tratta da questo
testo. È un discorso del (suo) papa
Celestino V ai predicatori napoletani adunati nella sua residenza provvisoria
in Castelvecchio presso il Molo a Napoli. Celestino non ha mai messo piede a
Roma: Ubi papa est ibi Roma ha sentenziato il Cardinal Caetani, suo
avversario, persecutore e, infine, successore col nome di Benedetto VIII. Per
una migliore comprensione del brano, occorre ricordare che Pietro Angelerio
(nome di Celestino prima di essere eletto papa) ha una formazione intellettuale
che lo stesso Silone definisce «piuttosto
rudimentale», essendosi formato per tre
anni presso la badia molisana di Faìfoli dove apprende il latino della liturgia
e dei libri sacri In quest’occasione, Silone fa dire al papa:
“Diletti figli,
anche quelli di voi che ancora non mi conoscono di persona, sanno che non
debbono aspettarsi da me una lezione di oratoria sacra. So che un’arte simile
esiste, con regole e modelli; ma, ve lo confesso umilmente, io non l’ ho
studiata, mentre ho sentito dire che alcuni di voi sono in essa espertissimi e
addirittura celebri. Tenete anche conto che per molti anni ho fatto vita
eremitica, che è un genere di vita in cui si parla poco. Mi intratterrò dunque
con voi alla buona, da padre a figlio, e in anticipo vi chiedo scusa se sarò
noioso, come spesso lo è il padre che parla a figli più istruiti di lui. Mi
limiterò pertanto a due sole raccomandazioni. Devo anzitutto dirvi che nel
predicare, se vi è possibile, cercate di essere semplici.
Ah, so bene che non è facile parlare con semplicità. Per riuscirvi sarebbe
necessario, questo va da sé, di essere interiormente semplici, e la vera
semplicità è una conquista assai difficile. L’intera esistenza d’un cristiano,
si può dire, ha appunto questo scopo: diventare semplici. Ma se la semplicità
non è ancora per qualcuno di voi un dono meritato, egli faccia almeno lo sforzo
di ottenerla nel modo di esprimersi. Dunque, vi supplico paternamente di
adoperare nelle vostre prediche parole che tutti capiscano. La parola di Dio si
rivolge a ogni creatura e in particolare alle più umili. A quelli, cui il
parlare semplice riuscisse più difficile, posso consigliare un espediente.
Ognuno di voi, immagino, ha relazione con qualche persona incolta, un uomo di
fatica, che conosce appena il proprio mestiere e nient’altro. Ebbene, prima di
profferirla in pubblico, recitate a lui, privatamente, la vostra predica e
sopprimete ogni parola che lui non capisca. La mia seconda avvertenza è più
importante. C’è un proverbio che dice: bada a quello che il prete dice e non a
quello che il prete fa. Probabilmente è un proverbio inventato, proprio per
comodo, da qualche predicatore. Ma vi assicuro che il popolo cristiano la pensa
e giudica il contrario e, a mio avviso, esso ha perfettamente ragione. Esso
bada di più a quello che i preti o i frati fanno che a quelli che essi dicono.
Il cristianesimo infatti non è un modo di dire, ma un modo di vivere. E non si
può decentemente predicare il cristianesimo agli altri, se non si vive da
cristiani. Questa è dunque la mia paterna avvertenza; predicatori
miei cari, volete essere creduti? Cercate di essere dei buoni cristiani, fate
il bene e fatelo di cuore. Non lo fate per furberia, non per tornaconto, non
per essere popolari, non per far carriera. Fate il bene gratuitamente e non
raccontatelo a nessuno. Tanto più che Dio in ogni caso vi vede e vi
ricompenserà, se non in questo, nell’altro mondo. Ma anche se Dio non vi
badasse o trovasse la vostra virtù del tutto naturale –ci vuole una grande
presunzione ad esigere che Dio si occupi di ognuno di noi- anche allora fare il
bene è una buona cosa, ed è una bella cosa. Francamente, che c’è di più bello?
Mi pare di avervi detto quello che volevo, vi ringrazio di avermi ascoltato e
vi benedico (Ignazio Silone, L’avventura di un povero cristiano, pp. 99-100).
Poco prima, lo stesso Silone aveva scritto:
“Se l’utopia non si è spenta, né in religione, né in
politica, è perché essa risponde a un bisogno profondamente radicato nell’uomo.
Vi è nella coscienza dell’uomo un’inquietudine che nessuna riforma e nessun
benessere materiale potranno mai placare. La storia dell’utopia è perciò la
storia di una sempre delusa speranza, ma di una speranza tenace. Nessuna
critica razionale può sradicarla, ed è importante saperla riconoscere anche
sotto connotati diversi” (p. 35).
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