Associazione per i popoli minacciati / Comunicato stampa in www.gfbv.it/2c-stampa/2012/121130it.html
Indonesia: la libertà di culto deve valere anche per le religioni animiste
I popoli indigeni dell'Indonesia chiedono il riconoscimento delle loro religioni tradizionali
Bolzano, Göttingen, 30 novembre 2012
Le religioni tradizionali della popolazione indigena dell'Indonesia devono essere tutelate. Questo è quanto hanno chiesto al governo indonesiano circa 700 delegati di 300 popoli indigeni dello stato insulare asiatico durante un congresso tenuto nella città di Surabaya. I delegati inoltre hanno chiesto che dalla carta d'identità venga eliminata l'indicazione della religione praticata per evitare discriminazioni e violazioni dei diritti umani, almeno finché il governo non emetta una legge per la tutela di chi pratica religioni animiste.
La libertà di culto deve valere anche per le milioni di persone appartenenti ai popoli indigeni di tutti i continenti che da innumerevoli generazioni praticano lo sciamanesimo e/o sono animisti. Il loro credo è strettamente connesso alla loro cosmovisione e alla loro identità culturale. Non riconoscere la loro religione significa anche negare loro la loro identità e mettere in pericolo la loro esistenza. Una minaccia che andrebbe ad aggiungersi alle già tante e pesanti minacce derivanti dall'estrazione di risorse naturali sul loro territorio.
Gendro Nur Hadi, direttore dell'ufficio per il credo tradizionale del ministero della cultura e dell'educazione, ha mostrato interesse per le richieste formulate al congresso di Surabaya. Il ministero ha promesso di presentare al governo una bozza di legge per la quale chiederà l'apporto di tutte le comunità religiose del paese. Nel paese a maggioranza musulmana finora sono riconosciuti ufficialmente l'Islam, il Cristianesimo, il Buddismo, l'Induismo e il Confucianesimo. Ciò nonostante molti Cristiani e Ahmadiyya musulmani lamentano pesanti ingerenze nella loro libertà di culto da parte delle autorità e crescenti aggressioni da parte di movimenti islamici radicali. In Indonesia vivono circa 45 milioni di persone appartenenti a popolazioni indigene.
Vedi anche in gfbv.it: www.gfbv.it/2c-stampa/2012/120904it.html
www.gfbv.it/2c-stampa/2011/110323it.html
www.gfbv.it/2c-stampa/2009/090706it.html
www.gfbv.it/2c-stampa/04-1/041230it.html
www.gfbv.it/2c-stampa/04-1/041110it.html
www.gfbv.it/2c-stampa/01-3/011112it.html
www.gfbv.it/3dossier/asia/westpapua-it.html
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venerdì 30 novembre 2012
venerdì 23 novembre 2012
LETTERA DI UN MUSICISTA ISRAELIANO CHE SI RIFUTA DI COMBATTERE
Omar Zahr Al-deen Mohammad Saad
Omar Saad, un giovane musicista di al-Mughar – un villaggio in Galilea – ha ricevuto una lettera di arruolamento nell’esercito israeliano. Sì, perché a differenza degli altri palestinesi, i drusi hanno l’obbligo – pena il carcere – di prestare il servizio militare (dopo che, nel 1956, la legge sulla coscrizione obbligatoria è stata resa applicabile anche a questa categoria di persone). Recenti ricerche hanno dimostrato che circa i due terzi della popolazione drusa in Israele preferirebbe non prendere le armi, se ne avesse la possibilità. Omar è uno di loro; nella lettera seguente, inviata al ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, spiega le proprie motivazioni (qui il sito di supporto a Omar). Traduzione di Valerio Evangelista
Gentile Ministro della Difesa di Israele,
Io sono Omar Zahr Al-deen Saad, dal villaggio di al-Maghar, Galilea.
Ho ricevuto l’ordine di presentarmi il prossimo 31 ottobre all’ufficio arruolamento dell’esercito, a norma dell’obbligo di coscrizione per la comunità drusa; a proposito di ciò vorrei chiarire alcune cose:
Rifiuto di presentarmi all’ufficio arruolamento perché non accetto la legge che prevede l’arruolamento obbligatorio per la comunità drusa;
Lo rifiuto perché sono un pacifista e odio ogni tipo di violenza e perché credo che questo esercito sia basato sulla violenza fisica e psicologica. Da quando ho ricevuto l’ordine di iniziare le procedure per l’arruolamento la mia vita è cambiata completamente. Sono diventato molto nervoso e con una grande confusione in testa. Mi sono figurato in mente molte situazioni dure e non riesco a immaginarmi con l’uniforme addosso che contribuisco alla repressione che Israele compie verso il popolo palestinese e non combatterò i miei fratelli arabi e le mie sorelle arabe;
Rifiuto di diventare un soldato israeliano o di andarmi ad arruolare, anche in qualsiasi altro esercito, per ragioni morali e nazionaliste;
Odio l’ingiustizia, la disuguaglianza, l’occupazione e odio il razzismo e le restrizioni sulla libertà;
Odio chi arresta bambini, uomini e donne.
Sono un suonatore di viola, ho suonato in molti posti e ho amici musicisti da Ramallah, Gerico, Gerusalemme, Hebron, Nablus, Jenin, Shafa’amr, Elaboun, Roma, Atene, Amman, Beirut, Damasco, Oslo ed tutti noi suoniamo i nostri strumenti per la libertà, umanità e pace. La nostra arma è la musica.
Faccio parte di un gruppo religioso che è stato, e continua a esserlo tutt’ora, oppresso. Quindi… come posso combattere contro la mia famiglia, i miei fratelli e le mie sorelle in Palestina, Siria, Giordania e Libano? Come posso imbracciare un’arma contro i miei fratelli e le mie sorelle in Palestina? Come posso lavorare come soldato al check-point di Qalandiya o in qualsiasi altro posto di blocco? Io sono una di quelle persone che ha subito l’ingiustizia nei check-point e nei posti di blocco. Come posso impedire a un mio fratello di Ramallah di visitare la sua casa a Gerusalemme? Come posso fare la guardia al muro dell’apartheid? Come posso fare da carceriere contro il mio popolo? E so che i detenuti (palestinesi, ndt) nelle carceri israeliane sono combattenti della libertà.
Suono per divertimento, per la libertà e per quella pace giusta che si basa sul fermare gli insediamenti e l’occupazione israeliana della Palestina. Quella pace giusta che si basa sull’istituzione di uno stato palestinese indipendente che abbia Gerusalemme come capitale, sulla scarcerazione dei detenuti e sul il ritorno in patria di tutti i rifugiati.
Molti dei nostri giovani hanno prestato servizio nell’esercito israeliano, ma cosa hanno ottenuto? Sono forse speciali? I nostri villaggi sono quelli più poveri, le nostre terre sono state espropriate e lo sono rimaste tutt’ora; non ci sono mappe strutturate né aree industriali. Il numero di laureati nei nostri villaggi è il più basso della regione e il tasso di disoccupazione tra i più alti.
Per quest’anno ho intenzione di continuare il liceo con la prospettiva di poter andare all’università. Sono certo che lei farà di tutto per fermare la mia umana ambizione, ma l’ho dichiarato a voce alta: “Sono Omar Zahr Al-deen Mohammad Saad, non sarò la benzina che incendierà la sua guerra e non sarò un soldato del vostro esercito”.
Firmato: Omar Saad
LETTERA AL MINISTRO CANCELLIERI
Con preghiera di diffusione
Gentile ministra Cancellieri,
abbiamo letto i suoi interventi di questi giorni, successivi alle manifestazioni del 14 novembre, e il suo impegno a identificare e punire l'agente ripreso mentre picchiava un giovane inerme. Abbiamo anche letto le sue parole sulle “mele marce” da isolare e sul fatto che la ferita del G8 di Genova del 2001 è da considerare chiusa.
Poiché abbiamo vissuto la tragica esperienza genovese e osservato da vicino come le forze di polizia e le istituzioni ne hanno affrontato le conseguenze, ci permettiamo di scriverle per esprimere le nostre forti perplessità sulle sue parole e le sue scelte.
Quel che è accaduto in varie città italiane il 14 novembre a nostro avviso dimostra che la ferita del G8 di Genova è tutt'altro che chiusa. L'episodio che l'ha colpita e che l'ha spinta a promettere l'identificazione dell'agente responsabile della violenza, è una precisa eredità del luglio genovese. In quei giorni vi furono decine di episodi del genere, con inseguimenti e pestaggi eseguiti in strada, alla luce del sole, non sempre ripresi dalle telecamere. Tutti i casi che è stato possibile portare in tribunale, con cause civili avviate grazie alle denunce dei cittadini brutalizzati e alle testimonianze disponibili, si sono conclusi con la condanna del ministero dell'Interno al pagamento di risarcimenti. Un'umiliazione per le istituzioni, ne converrà. Ma che non ha portato ad alcuna autocritica, ad alcun intervento di riforma.
Da Genova G8 in poi, lo schema d'intervento delle forze dell'ordine – impiego smodato dei lacrimogeni, uso sproporzionato della forza, ricorso continuo alla carica di cortei e manifestazioni, utilizzo sistematico dei manganelli anche contro persone inoffensive – si è ripetuto innumerevoli volte. E forse non poteva essere altrimenti, se pensiamo che in undici anni la polizia di stato, i carabinieri, la guardia di finanza, il ministero degli Interni non hanno mai rinnegato le scelte e i comportamenti del luglio 2001, che pure produssero una gestione dell'ordine pubblico consegnata ai libri di storia come un disastro senza precedenti.
Gentile ministro, non è questione di singoli agenti che pestano un cittadino inerme, né di mele marce che compiono questo o quell'abuso: quel che è accaduto il 14 novembre è il frutto di ciò che fu seminato undici anni fa e che si è pervicacemente coltivato fino ad oggi.
I comportamenti di allora sono stati legittimati con l'inerzia, con le promozioni reiterate dei responsabili dell'ordine pubblico e addirittura dei dirigenti indagati, processati e infine condannati. Nonostante alcune sentenze importantissime, come nei casi Diaz e Bolzaneto, a chi lavora in polizia - diciamolo chiaramente - è arrivato un messaggio di legittimazione e impunità per tutto ciò che avvenne a Genova. Quindi è impossibile stupirsi per quel che è avvenuto il 14 novembre e in tante altre occasioni.
Dobbiamo anche ricordarle, gentile ministro, che nel suo stesso governo, con il ruolo di sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega alla sicurezza, siede il capo della polizia di allora, dottor Gianni De Gennaro, tutelato e promosso e infine assurto a ruoli di governo nonostante una gestione dell'ordine pubblico, nel luglio 2001, che ha gettato discredito a livello internazionale sul nostro paese, come hanno scritto i giudici di Cassazione nella sentenza Diaz.
E' anche impossibile dimenticare che nel luglio scorso il dottor De Gennaro, nel commentare le condanne definitive di alti funzionari nel processo Diaz, oltretutto sospesi per cinque anni dai pubblici uffici, ha espresso pubblica solidarietà nei loro confronti, dando un ulteriore contributo a quella scellerata operazione di legittimazione delle sciagurate condotte del 2001.
Per queste ragioni, gentile ministro, le sue parole e le sue decisioni non ci tranquillizzano e anzi ci allarmano: le forze di polizia italiane, per recuperare la credibilità perduta in questi anni e per abbandonare uno “stile” che conduce inevitabilmente a scene come quelle viste lo scorso 14 novembre, avrebbero bisogno di ben altri interventi, in un paese che ha nemmeno una legge sulla tortura e in cui gli agenti in servizio di ordine pubblico non indossano su caschi e divise codici di riconoscimento.
Oggi è più urgente che mai una vera, profonda riforma democratica delle forze dell'ordine, ed è anche necessario, per prevenire nuovi abusi nel breve periodo, un richiamo forte, solenne, alle responsabilità imposte dal dettato costituzionale alle forze di polizia, che devono essere garanti delle libertà civili e della Costituzione e non braccio armato di qualsivoglia potere. Oggi è in discussione l'effettiva possibilità di esercitare il diritto alla manifestazione del proprio pensiero.
Vittorio Agnoletto, Enrica Bartesaghi, Haidi Giuliani, Lorenzo Guadagnucci
Gentile ministra Cancellieri,
abbiamo letto i suoi interventi di questi giorni, successivi alle manifestazioni del 14 novembre, e il suo impegno a identificare e punire l'agente ripreso mentre picchiava un giovane inerme. Abbiamo anche letto le sue parole sulle “mele marce” da isolare e sul fatto che la ferita del G8 di Genova del 2001 è da considerare chiusa.
Poiché abbiamo vissuto la tragica esperienza genovese e osservato da vicino come le forze di polizia e le istituzioni ne hanno affrontato le conseguenze, ci permettiamo di scriverle per esprimere le nostre forti perplessità sulle sue parole e le sue scelte.
Quel che è accaduto in varie città italiane il 14 novembre a nostro avviso dimostra che la ferita del G8 di Genova è tutt'altro che chiusa. L'episodio che l'ha colpita e che l'ha spinta a promettere l'identificazione dell'agente responsabile della violenza, è una precisa eredità del luglio genovese. In quei giorni vi furono decine di episodi del genere, con inseguimenti e pestaggi eseguiti in strada, alla luce del sole, non sempre ripresi dalle telecamere. Tutti i casi che è stato possibile portare in tribunale, con cause civili avviate grazie alle denunce dei cittadini brutalizzati e alle testimonianze disponibili, si sono conclusi con la condanna del ministero dell'Interno al pagamento di risarcimenti. Un'umiliazione per le istituzioni, ne converrà. Ma che non ha portato ad alcuna autocritica, ad alcun intervento di riforma.
Da Genova G8 in poi, lo schema d'intervento delle forze dell'ordine – impiego smodato dei lacrimogeni, uso sproporzionato della forza, ricorso continuo alla carica di cortei e manifestazioni, utilizzo sistematico dei manganelli anche contro persone inoffensive – si è ripetuto innumerevoli volte. E forse non poteva essere altrimenti, se pensiamo che in undici anni la polizia di stato, i carabinieri, la guardia di finanza, il ministero degli Interni non hanno mai rinnegato le scelte e i comportamenti del luglio 2001, che pure produssero una gestione dell'ordine pubblico consegnata ai libri di storia come un disastro senza precedenti.
Gentile ministro, non è questione di singoli agenti che pestano un cittadino inerme, né di mele marce che compiono questo o quell'abuso: quel che è accaduto il 14 novembre è il frutto di ciò che fu seminato undici anni fa e che si è pervicacemente coltivato fino ad oggi.
I comportamenti di allora sono stati legittimati con l'inerzia, con le promozioni reiterate dei responsabili dell'ordine pubblico e addirittura dei dirigenti indagati, processati e infine condannati. Nonostante alcune sentenze importantissime, come nei casi Diaz e Bolzaneto, a chi lavora in polizia - diciamolo chiaramente - è arrivato un messaggio di legittimazione e impunità per tutto ciò che avvenne a Genova. Quindi è impossibile stupirsi per quel che è avvenuto il 14 novembre e in tante altre occasioni.
Dobbiamo anche ricordarle, gentile ministro, che nel suo stesso governo, con il ruolo di sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega alla sicurezza, siede il capo della polizia di allora, dottor Gianni De Gennaro, tutelato e promosso e infine assurto a ruoli di governo nonostante una gestione dell'ordine pubblico, nel luglio 2001, che ha gettato discredito a livello internazionale sul nostro paese, come hanno scritto i giudici di Cassazione nella sentenza Diaz.
E' anche impossibile dimenticare che nel luglio scorso il dottor De Gennaro, nel commentare le condanne definitive di alti funzionari nel processo Diaz, oltretutto sospesi per cinque anni dai pubblici uffici, ha espresso pubblica solidarietà nei loro confronti, dando un ulteriore contributo a quella scellerata operazione di legittimazione delle sciagurate condotte del 2001.
Per queste ragioni, gentile ministro, le sue parole e le sue decisioni non ci tranquillizzano e anzi ci allarmano: le forze di polizia italiane, per recuperare la credibilità perduta in questi anni e per abbandonare uno “stile” che conduce inevitabilmente a scene come quelle viste lo scorso 14 novembre, avrebbero bisogno di ben altri interventi, in un paese che ha nemmeno una legge sulla tortura e in cui gli agenti in servizio di ordine pubblico non indossano su caschi e divise codici di riconoscimento.
Oggi è più urgente che mai una vera, profonda riforma democratica delle forze dell'ordine, ed è anche necessario, per prevenire nuovi abusi nel breve periodo, un richiamo forte, solenne, alle responsabilità imposte dal dettato costituzionale alle forze di polizia, che devono essere garanti delle libertà civili e della Costituzione e non braccio armato di qualsivoglia potere. Oggi è in discussione l'effettiva possibilità di esercitare il diritto alla manifestazione del proprio pensiero.
Vittorio Agnoletto, Enrica Bartesaghi, Haidi Giuliani, Lorenzo Guadagnucci
giovedì 22 novembre 2012
CASAFRICA: IMPORTANTI INIZIATIVE
Giovedì 22 novembre la Comunità africana francofona di Terranegra e la Commissione stranieri del Comune di Padova invitano la cittadinanza ad un dibattito pubblico (ore 17-19) sul tema Immigrazione. Il mondo a casa nostra. Gli interventi programmati, effettuati tutti da componenti della comunità degli immigrati africani residenti a Padova, tratteranno il tema dell’immigrazione da diverse angolature, evidenziandone gli aspetti positivi (l’immigrazione come risorsa) e quelli problematici e mettendo in luce le difficoltà connesse al tema dello studio e del lavoro, senza dimenticare l’importante questione della possibilità di un produttivo rientro nelle aree di origine.
Giovedì 22 novembre
ore 17-19
Immigrazione. Il mondo a casa nostra
Incontro a cura della Comunità africana francofona di Padova
Con la collaborazione della Commissione stranieri del Comune di Padova
Interverranno
Brahim Azakay, Matthew Ogaraku Achinike, Stella Ogbomo Usunobun
Commissione stranieri del Comune di Padova
Josette Saidi, membro dell'associazione Femme Ebène
Eliot Ngounou, responsabile della Comunità africana francofona di Terranegra
Justin Magloire Mbouna, membro dell’associazione ASCAP
Koffi John Yovo, membro della Comunità africana francofona di Terranegra
Coordinamento:
Martin Amédégnato, membro della Comunità africana francofona di Terranegra
I pomeriggi di Venerdì 23 e sabato 24 novembre saranno specificamente dedicati alle problematiche connesse alla gestione del ciclo dei rifiuti in Africa. La tematica continua il percorso avviato nell’edizione 2011 di ImmaginAfrica in collaborazione con AcegasAps e volto alla sensibilizzazione delle comunità di immigrati africani intorno al tema della raccolta differenziata e del riciclo. Una tematica che non è stata immediatamente accolta con entusiasmo dalle associazioni che collaborano all’iniziativa, in quanto percepita come estranea agli interessi reali degli immigrati, ma che ha via via trovato sempre maggiore interesse e consenso, inducendo ad inserire una sezione tematica anche nell’ambito della settimana dedicata alla rassegna cinematografica.
Venerdì 23 verranno effettuati due cicli di proiezioni video rispettivamente centrati su “Le discariche africane” e “L’africa discarica dell’occidente. Con il primo ciclo di proiezioni (ore 17-19) ci si avvicinerà al problema della gestione dei rifiuti in Africa attraverso filmati girati direttamente da coloro che vivono nella/delle discariche o da associazioni che hanno avviato specifiche progettualità; con il secondo ciclo (ore 19-21) si avrà la possibilità di riflettere sulla responsabilità del mondo occidentale nel rendere l’Africa luogo elettivo dello smaltimento di rifiuti inquinanti e tossici.
Sabato 24 verrà effettuato un primo ciclo di proiezioni (ore 16-17.30) sul tema “Progettare con i rifiuti in Africa”, cui farà seguito una tavola rotonda (ore 17.30-19.30) organizzata da CGIL Padova in collaborazione con la comunità nigeriana, nel cui ambito si affronterà il problema dell’inserimento lavorativo degli immigrati nelle cooperative che si occupano della gestione del ciclo dei rifiuti nel territorio padovano; al termine della tavola rotonda un secondo ciclo di proiezioni video (ore 19.30-21) consentirà di avvicinarsi alla tematica del riciclo in Africa a partire dalla visione di alcune iniziative a carattere educativo, artigianale ed artistico.
Venerdì 23 novembre
Ore 17
Proiezioni su : Le discariche africane
Frammenti di altra quotidianità - Maputo, Mozambico
Mbeubeus – Dakar, Senegal
Recycling Lagos waste – Lagos, Nigeria
Scrap Boy. I ragazzi delle discariche – Accra, Ghana
Ore 19
Proiezioni su: Africa: discarica dell’Occidente?
Dumping Ground in Abidjan – Costa d’Avorio
Toxic Somalia. L’altra pirateria - Somalia
Sabato 24 novembre
Ore 16
Proiezioni su: Progettare con i rifiuti in Africa
Proteggere l’ambiente valorizzando i rifiuti a Ouagadougou - Burkina Faso
La négation positivée – Bamako, Mali
Nouakhott – Mauritania
Megacities IGNIS projet - Addis Ababa, Etiopia
Ore 17.30
Immigrazione: ambiente e lavoro
Interventi di:
Salvatore Livorno, segretario FP-CGIL Padova - Igiene ambientale e immigrazione
Romeo Barutta, segretario FILT-CGIL Padova - Il lavoro migrante nella gestione del ciclo dei rifiuti
Matthew Ogaraku Achinieke, Commissione stranieri del Comune di Padova
Testimonianze di lavoratrici e lavoratori del settore
Coordina: Alessandra Stivali, segretaria CGIL Padova
ore 19.30
Proiezioni su: Riciclare creativamente dopo l’uso
Cité Propre: gagner de l'argent par les déchets – Douala, Camerun
Recycling in the Marketplace - Senegal
Fantastic in plastic – Ghana
African style soccer – Uganda e Kenya
Tyre Shoes Demo – Kenya
Make a toy car out of a plastic bottle
Plastic bottles: recycling & re-use – Uganda
Plastic bottle light - Uganda
How to build a latrine using PET plastic bottles – Uganda
Africa e derivati. Riciclare creativamente dopo l’uso
Giovedì 22 novembre
ore 17-19
Immigrazione. Il mondo a casa nostra
Incontro a cura della Comunità africana francofona di Padova
Con la collaborazione della Commissione stranieri del Comune di Padova
Interverranno
Brahim Azakay, Matthew Ogaraku Achinike, Stella Ogbomo Usunobun
Commissione stranieri del Comune di Padova
Josette Saidi, membro dell'associazione Femme Ebène
Eliot Ngounou, responsabile della Comunità africana francofona di Terranegra
Justin Magloire Mbouna, membro dell’associazione ASCAP
Koffi John Yovo, membro della Comunità africana francofona di Terranegra
Coordinamento:
Martin Amédégnato, membro della Comunità africana francofona di Terranegra
I pomeriggi di Venerdì 23 e sabato 24 novembre saranno specificamente dedicati alle problematiche connesse alla gestione del ciclo dei rifiuti in Africa. La tematica continua il percorso avviato nell’edizione 2011 di ImmaginAfrica in collaborazione con AcegasAps e volto alla sensibilizzazione delle comunità di immigrati africani intorno al tema della raccolta differenziata e del riciclo. Una tematica che non è stata immediatamente accolta con entusiasmo dalle associazioni che collaborano all’iniziativa, in quanto percepita come estranea agli interessi reali degli immigrati, ma che ha via via trovato sempre maggiore interesse e consenso, inducendo ad inserire una sezione tematica anche nell’ambito della settimana dedicata alla rassegna cinematografica.
Venerdì 23 verranno effettuati due cicli di proiezioni video rispettivamente centrati su “Le discariche africane” e “L’africa discarica dell’occidente. Con il primo ciclo di proiezioni (ore 17-19) ci si avvicinerà al problema della gestione dei rifiuti in Africa attraverso filmati girati direttamente da coloro che vivono nella/delle discariche o da associazioni che hanno avviato specifiche progettualità; con il secondo ciclo (ore 19-21) si avrà la possibilità di riflettere sulla responsabilità del mondo occidentale nel rendere l’Africa luogo elettivo dello smaltimento di rifiuti inquinanti e tossici.
Sabato 24 verrà effettuato un primo ciclo di proiezioni (ore 16-17.30) sul tema “Progettare con i rifiuti in Africa”, cui farà seguito una tavola rotonda (ore 17.30-19.30) organizzata da CGIL Padova in collaborazione con la comunità nigeriana, nel cui ambito si affronterà il problema dell’inserimento lavorativo degli immigrati nelle cooperative che si occupano della gestione del ciclo dei rifiuti nel territorio padovano; al termine della tavola rotonda un secondo ciclo di proiezioni video (ore 19.30-21) consentirà di avvicinarsi alla tematica del riciclo in Africa a partire dalla visione di alcune iniziative a carattere educativo, artigianale ed artistico.
Venerdì 23 novembre
Ore 17
Proiezioni su : Le discariche africane
Frammenti di altra quotidianità - Maputo, Mozambico
Mbeubeus – Dakar, Senegal
Recycling Lagos waste – Lagos, Nigeria
Scrap Boy. I ragazzi delle discariche – Accra, Ghana
Ore 19
Proiezioni su: Africa: discarica dell’Occidente?
Dumping Ground in Abidjan – Costa d’Avorio
Toxic Somalia. L’altra pirateria - Somalia
Sabato 24 novembre
Ore 16
Proiezioni su: Progettare con i rifiuti in Africa
Proteggere l’ambiente valorizzando i rifiuti a Ouagadougou - Burkina Faso
La négation positivée – Bamako, Mali
Nouakhott – Mauritania
Megacities IGNIS projet - Addis Ababa, Etiopia
Ore 17.30
Immigrazione: ambiente e lavoro
Interventi di:
Salvatore Livorno, segretario FP-CGIL Padova - Igiene ambientale e immigrazione
Romeo Barutta, segretario FILT-CGIL Padova - Il lavoro migrante nella gestione del ciclo dei rifiuti
Matthew Ogaraku Achinieke, Commissione stranieri del Comune di Padova
Testimonianze di lavoratrici e lavoratori del settore
Coordina: Alessandra Stivali, segretaria CGIL Padova
ore 19.30
Proiezioni su: Riciclare creativamente dopo l’uso
Cité Propre: gagner de l'argent par les déchets – Douala, Camerun
Recycling in the Marketplace - Senegal
Fantastic in plastic – Ghana
African style soccer – Uganda e Kenya
Tyre Shoes Demo – Kenya
Make a toy car out of a plastic bottle
Plastic bottles: recycling & re-use – Uganda
Plastic bottle light - Uganda
How to build a latrine using PET plastic bottles – Uganda
Africa e derivati. Riciclare creativamente dopo l’uso
mercoledì 21 novembre 2012
Luoghi migranti. Tra clandestinità e spazi pubblici
Paolo Jedlowski, Carla Pasquinelli, Alessandro Triulzi
presentano il libro
di Gianluca Gatta
Luoghi migranti. Tra clandestinità e spazi pubblici
(Pellegrini editore, 2012)
Sarà presente l'autore
Giovedì 22 novembre 2012, ore 17:00
Sala conferenze Fondazione Basso
Fondazione Lelio e Lisli Basso
Via Dogana Vecchia, 5 - Roma
domenica 18 novembre 2012
40 ANNI DI OBIEZIONE DI COSCIENZA, DUE INIZIATIVE A VERONA E A PESCHIERA
comunicato stampa 16.11.2012
Si è svolta questa mattina nella sala civica del Comune di Peschiera del Garda la conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa "Dopo 40 anni torniamo in carcere", presenti il Sindaco di Peschiera, Umberto Chincarini, e il Presidente del Movimento Nonviolento, Mao Valpiana.
Le Legge che ha riconosciuto l'obiezione di coscienza ed introdotto nel nostro paese il servizio civile è del 15 dicembre 1972.
Per celebrare i 40 anni di questa conquista civile, il Movimento Nonviolento ha promosso due iniziative pubbliche trovando l'adesione dell'Istituto Storico della Resistenza ed il patrocinio del Comune di Peschiera, che fu teatro di molte manifestazioni nonviolente antimilitariste a favore degli obiettori e per chiedere la chiusura del carcere e l'abolizione dei tribunali militari.
Sabato 17 novembre presso la sala “Berto Perotti” dell’IVrR, in via Cantarane 26, si terrà un convegno dal titolo "1972! OBIEZIONE DI COSCIENZA Dal carcere al servizio civile" (Interverranno Bartolomeo Costantini, già procuratore capo al Tribunale Militare di Verona Maurizio Corticelli, avvocato, Massimo Valpiana, obiettore di coscienza e presidente del Movimento Nonviolento. Introduce Beppe Muraro).
Domenica 18 novembre, con ritrovo nella piazza del Municipio di Peschiera alle ore 10,30, ci sarà la visita all'ex-carcere militare di Peschiera guidata da obiettori che vi furono detenuti nei primi anni '70 per aver rifiutato di svolgere il servizio militare (Matteo Soccio, Enzo Bellettato, Claudio Bedussi).
"Ci fa piacere - ha dichiarato il Sindaco Umberto Chincarini - ospitare questa iniziativa che ripercorre una pagina importante della storia del nostro paese. Peschiera visse momenti difficili, di scontro ideologico, oggi superato anche grazie all'impegno di chi lavorava per la pace".
"La nostra iniziativa - ha detto Mao Valpiana del Movimento Nonviolento - vuole non solo fare memoria, ma anche affrontare le difficoltà che ancora vive il servizio civile e rilanciare la nostra campagna per il disarmo".
_____________________
Movimento Nonviolento
via Spagna, 8
37123 Verona
tel. 045 8009803
Fax 045 8009212
www.nonviolenti.org
Si è svolta questa mattina nella sala civica del Comune di Peschiera del Garda la conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa "Dopo 40 anni torniamo in carcere", presenti il Sindaco di Peschiera, Umberto Chincarini, e il Presidente del Movimento Nonviolento, Mao Valpiana.
Le Legge che ha riconosciuto l'obiezione di coscienza ed introdotto nel nostro paese il servizio civile è del 15 dicembre 1972.
Per celebrare i 40 anni di questa conquista civile, il Movimento Nonviolento ha promosso due iniziative pubbliche trovando l'adesione dell'Istituto Storico della Resistenza ed il patrocinio del Comune di Peschiera, che fu teatro di molte manifestazioni nonviolente antimilitariste a favore degli obiettori e per chiedere la chiusura del carcere e l'abolizione dei tribunali militari.
Sabato 17 novembre presso la sala “Berto Perotti” dell’IVrR, in via Cantarane 26, si terrà un convegno dal titolo "1972! OBIEZIONE DI COSCIENZA Dal carcere al servizio civile" (Interverranno Bartolomeo Costantini, già procuratore capo al Tribunale Militare di Verona Maurizio Corticelli, avvocato, Massimo Valpiana, obiettore di coscienza e presidente del Movimento Nonviolento. Introduce Beppe Muraro).
Domenica 18 novembre, con ritrovo nella piazza del Municipio di Peschiera alle ore 10,30, ci sarà la visita all'ex-carcere militare di Peschiera guidata da obiettori che vi furono detenuti nei primi anni '70 per aver rifiutato di svolgere il servizio militare (Matteo Soccio, Enzo Bellettato, Claudio Bedussi).
"Ci fa piacere - ha dichiarato il Sindaco Umberto Chincarini - ospitare questa iniziativa che ripercorre una pagina importante della storia del nostro paese. Peschiera visse momenti difficili, di scontro ideologico, oggi superato anche grazie all'impegno di chi lavorava per la pace".
"La nostra iniziativa - ha detto Mao Valpiana del Movimento Nonviolento - vuole non solo fare memoria, ma anche affrontare le difficoltà che ancora vive il servizio civile e rilanciare la nostra campagna per il disarmo".
_____________________
Movimento Nonviolento
via Spagna, 8
37123 Verona
tel. 045 8009803
Fax 045 8009212
www.nonviolenti.org
VIA IL GOVERNO DELLA FAME, DELLA PAURA, DELLA VIOLENZA
L’inqualificabile episodio del lancio, dall’interno di una sede ministeriale, di lacrimogeni sulla folla inerme ha rappresentato un atto di pura provocazione repressiva di stampo “cileno”, e la sola risposta possibile, in un paese democratico, dovrebbe essere quella delle dimissioni del Governo.
Non accade in Italia dove si aprirà una ridicola “inchiesta interna”.
Ci troviamo, come già era accaduto con il governo precedente, in una situazione di vera e propria “emergenza della democrazia” che richiederebbe uno scatto, una scossa, una risposta adeguata il cui solo modello che è possibile indicare rimane quello del Luglio’60, quando l’impeto delle masse popolari scacciò il governo Tambroni appoggiato dai fascisti.
La CGIL avrebbe dovuto proclamare subito lo sciopero generale; il PD sospendere l’inutile fiera delle vanità delle primarie per predisporre un’iniziativa parlamentare adeguata alla gravità dell’ora; la sinistra d’alternativa riporre gli opportunismi che dividono i suoi residuali dirigenti e lavorare unitariamente per offrire al movimento quella possibilità di proposta politica che potrebbe sollevarlo dall’isolamento e dalla paura.
Tutto ciò non sta avvenendo, si discute di election day e candidature, mentre pare proprio non esserci rimasta altra risorsa che esprimere l’indignazione scrivendo poche, sconsolate, parole.
Savona, li 17 novembre 2012 Franco Astengo
Nota mia:
come ho già scritto altre volte, la domanda da porsi è: fino a quando sopporteremo tutto ciò? Riusciremo a far sì che tutto non si perda nella violenza? Ma reagire spetta a noi! Aspettarsi qualcosa di buono dalla CGIL e/o dal PD equivale ad aspettare che risolva la crisi Babbo Natale.
Ho ascoltato questa mattina che Montezemolo scende in campo, affiancato dal ministro Riccardi, da Bonanni della CISL (e forse anche dalle ACLI). Ma che bella compagnia! Un altro miliardario che scende in politica (è proprio caduta in basso, la politica, se tutti 'scendono' per entrare). Ma che percezione della realtà può avere un altro miliardario? Che ne sa di quelli che si ammazzano per arrivare a fine mese? Che ne sa dei precari? E, di nuovo, fino a quando permetteremo tutto ciò?
mercoledì 14 novembre 2012
NICHI VENDOLA E LA NONVIOLENZA: UN'INTERVISTA E LA RISPOSTA
Le mie priorità per l’Italia. Intervista a Nichi Vendola
Scritto da: Anna Polo Data: 12 novembre 2012
Nichi Vendola è governatore della Regione Puglia, leader di SEL (Sinistra, Ecologia e Libertà) e candidato alle primarie del centro –sinistra.
1. Come candidato a guidare l’Italia, nel caso vincesse le primarie e poi le elezioni, quali priorità si pone?
Le prime misure che approverei sono: Diritto di cittadinanza per i nati in Italia, abolizione della legge 30 sul mercato del lavoro, abrogazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, permesso di soggiorno per i migranti, abolizione della legge 40 sulla procreazione assistita, legge sul reddito di cittadinanza, legge sui diritti civili, sulle coppie di fatto e sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, riduzione sulle tasse sul lavoro e sull’impresa, approvazione del piano straordinario della messa in sicurezza del territorio.
2. Nella sua recente lettera aperta, il Movimento Nonviolento chiede ai partiti di centro-sinistra di aggiungere ai 10 punti della Carta d’Intenti per l’Italia Bene Comune, da lei sottoscritta, la riduzione delle spese militari, l’abolizione dell’acquisto degli F35 e il ritiro delle truppe italiane dall’Afganistan. Che cosa risponde?
Sono favorevole a tutte queste proposte. Basti pensare che con un solo cacciabombardiere F35 si potrebbero costruire 387 asili nido con 11.610 famiglie beneficiarie e circa 3.500 nuovi posti di lavoro o aiutare con servizi di assistenza 14.742 famiglie con disabili e anziani non autosufficienti.
Bisogna ridurre drasticamente le spese del comparto difesa e riconvertire l’industria bellica.
Proporremo programmi e progetti per la conversione dell’industria bellica in sostegno alla conversione ecologica dell’economia, con la promozione della piena e buona occupazione.
3. Sembra che in Italia molta gente stia perdendo la speranza e la forza interna, motore in passato di grandi cambiamenti. Cosa si può fare per risvegliarle?
Molte conquiste di civiltà, dalla legge sull’aborto a quella sul divorzio, dallo Statuto dei lavoratori alla legge Basaglia, sono state il risultato di una mobilitazione straordinaria di tante donne e tante uomini e hanno reso l’Italia un paese all’avanguardia per i diritti civili, che sono diventati poi un elemento fondante dell’idea di cittadinanza. Poi è arrivata la lunga stagione del conservatorismo opaco e ipocrita, quello che ogni giorno cerca di farci tornare indietro, che ci impedisce di conquistare nuovi e necessari diritti e ci fa precipitare nel torpore e nella disillusione. Nella convinzione che nulla possiamo fare per modificare in positivo la nostra vita, quella delle nostre comunità e di chi verrà dopo di noi. C’è indubbiamente bisogno di un risveglio delle coscienze, di un risveglio civico e democratico. Dobbiamo ripartire dalla democrazia a tutti i livelli, per chiedere ai cittadini di aver fiducia e passione, di partecipare, di farsi potenza costituente, come nella storia tante volte è avvenuto.
4. La crisi che l’umanità si trova ad affrontare non è solo economica, ma strutturale e multi-dimensionale. Quali sono a suo parere i meccanismi, i valori e le istituzioni alla radice di questa crisi?
Le politiche neoliberiste hanno permeato e contaminato ogni ambito della società. La dignità e la vita hanno subito un continuo processo di degradazione in nome del profitto. Il Paese sente il dolore sociale, la fatica di vivere, la domanda disperata di lavoro di quelle giovani generazioni ingabbiate nei circuiti lividi della precarietà. Per accogliere il futuro come una promessa bisogna tornare ad investire quantitativamente e qualitativamente su formazione, educazione, cultura, ricerca, recuperando capacità di ascolto delle competenze e delle passioni di chi nella scuola e nell’Università vive. All’origine di questa crisi che, è vero, non è solo economica c’è la frammentazione della società, la solitudine, la morte del welfare, la rarefazione dei luoghi di produzione di immaginario, senso comune e soggettività.
5. E quali sono i valori che dovrebbero guidare la costruzione di un nuovo modello sociale e umano?
Solidarietà, dignità umana, giustizia sociale, libertà.
6. Che cos’è per lei la nonviolenza?
La “mission” internazionale del nostro Paese deve essere fondata sull’opzione nonviolenta. Non ci sono alternative.
Vogliamo essere protagonisti di nuovi strumenti per raggiungere l’obiettivo della pace tra i popoli: dal sostegno attivo alla prevenzione dei conflitti alle mediazioni politico-diplomatiche, fino all’interposizione nonviolenta dei corpi civili di pace.
7. Al di là delle tante differenze, qual è per lei l’essenza di ogni essere umano?
Il rispetto e il riconoscimento dell’altro. Perché l’identità non è un catenaccio serrato a proteggerci dagli altri ma è la porta aperta della giustizia, dei diritti, della convivialità delle differenze.
http://www.nichivendola.it/
tratto da http://www.pressenza.com/it/2012/11/le-mie-priorita-per-litalia-intervista-a-nichi-vendola-3/
La risposta del Movimento Nonviolento:
Nell’intervista pubblicata il 12 novembre nell’edizione italiana di Pressenza [vedi sopra] e in corso di traduzione in varie lingue, Nichi Vendola ha dichiarato a proposito delle richieste contenute nella lettera aperte del Movimento Nonviolento ai partiti di centro-sinistra – riduzione delle spese militari, abolizione dell’acquisto degli F35 e ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan: “Sono favorevole a tutte queste proposte. Basti pensare che con un solo cacciabombardiere F35 si potrebbero costruire 387 asili nido con 11.610 famiglie beneficiarie e circa 3.500 nuovi posti di lavoro o aiutare con servizi di assistenza 14.742 famiglie con disabili e anziani non autosufficienti.”
Ecco il commento di Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento:
Innanzitutto ringraziamo Vendola, l’unico dei segretari a cui abbiamo scritto ad averci risposto. E’ una risposta positiva che ci fa molto piacere.
Lo incitiamo inoltre a portare avanti con forza questi temi, in modo che vengano aggiunti ai 10 punti della “Carta d’Intenti per l’Italia Bene Comune”.
Infine lo invitiamo ad approfondire la riflessione sulla nonviolenza come metodo da applicare anche nei rapporti interni dei partiti, consapevoli che si tratta di una questione delicata e difficile, ma fondamentale.
Ovviamente siamo a disposizione per qualsiasi confronto e collaborazione.
tratto da http://www.pressenza.com/it/2012/11/nichi-vendola-si-dichiara-daccordo-con-la-lettera-aperta-del-movimento-nonviolento/
Scritto da: Anna Polo Data: 12 novembre 2012
Nichi Vendola è governatore della Regione Puglia, leader di SEL (Sinistra, Ecologia e Libertà) e candidato alle primarie del centro –sinistra.
1. Come candidato a guidare l’Italia, nel caso vincesse le primarie e poi le elezioni, quali priorità si pone?
Le prime misure che approverei sono: Diritto di cittadinanza per i nati in Italia, abolizione della legge 30 sul mercato del lavoro, abrogazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, permesso di soggiorno per i migranti, abolizione della legge 40 sulla procreazione assistita, legge sul reddito di cittadinanza, legge sui diritti civili, sulle coppie di fatto e sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, riduzione sulle tasse sul lavoro e sull’impresa, approvazione del piano straordinario della messa in sicurezza del territorio.
2. Nella sua recente lettera aperta, il Movimento Nonviolento chiede ai partiti di centro-sinistra di aggiungere ai 10 punti della Carta d’Intenti per l’Italia Bene Comune, da lei sottoscritta, la riduzione delle spese militari, l’abolizione dell’acquisto degli F35 e il ritiro delle truppe italiane dall’Afganistan. Che cosa risponde?
Sono favorevole a tutte queste proposte. Basti pensare che con un solo cacciabombardiere F35 si potrebbero costruire 387 asili nido con 11.610 famiglie beneficiarie e circa 3.500 nuovi posti di lavoro o aiutare con servizi di assistenza 14.742 famiglie con disabili e anziani non autosufficienti.
Bisogna ridurre drasticamente le spese del comparto difesa e riconvertire l’industria bellica.
Proporremo programmi e progetti per la conversione dell’industria bellica in sostegno alla conversione ecologica dell’economia, con la promozione della piena e buona occupazione.
3. Sembra che in Italia molta gente stia perdendo la speranza e la forza interna, motore in passato di grandi cambiamenti. Cosa si può fare per risvegliarle?
Molte conquiste di civiltà, dalla legge sull’aborto a quella sul divorzio, dallo Statuto dei lavoratori alla legge Basaglia, sono state il risultato di una mobilitazione straordinaria di tante donne e tante uomini e hanno reso l’Italia un paese all’avanguardia per i diritti civili, che sono diventati poi un elemento fondante dell’idea di cittadinanza. Poi è arrivata la lunga stagione del conservatorismo opaco e ipocrita, quello che ogni giorno cerca di farci tornare indietro, che ci impedisce di conquistare nuovi e necessari diritti e ci fa precipitare nel torpore e nella disillusione. Nella convinzione che nulla possiamo fare per modificare in positivo la nostra vita, quella delle nostre comunità e di chi verrà dopo di noi. C’è indubbiamente bisogno di un risveglio delle coscienze, di un risveglio civico e democratico. Dobbiamo ripartire dalla democrazia a tutti i livelli, per chiedere ai cittadini di aver fiducia e passione, di partecipare, di farsi potenza costituente, come nella storia tante volte è avvenuto.
4. La crisi che l’umanità si trova ad affrontare non è solo economica, ma strutturale e multi-dimensionale. Quali sono a suo parere i meccanismi, i valori e le istituzioni alla radice di questa crisi?
Le politiche neoliberiste hanno permeato e contaminato ogni ambito della società. La dignità e la vita hanno subito un continuo processo di degradazione in nome del profitto. Il Paese sente il dolore sociale, la fatica di vivere, la domanda disperata di lavoro di quelle giovani generazioni ingabbiate nei circuiti lividi della precarietà. Per accogliere il futuro come una promessa bisogna tornare ad investire quantitativamente e qualitativamente su formazione, educazione, cultura, ricerca, recuperando capacità di ascolto delle competenze e delle passioni di chi nella scuola e nell’Università vive. All’origine di questa crisi che, è vero, non è solo economica c’è la frammentazione della società, la solitudine, la morte del welfare, la rarefazione dei luoghi di produzione di immaginario, senso comune e soggettività.
5. E quali sono i valori che dovrebbero guidare la costruzione di un nuovo modello sociale e umano?
Solidarietà, dignità umana, giustizia sociale, libertà.
6. Che cos’è per lei la nonviolenza?
La “mission” internazionale del nostro Paese deve essere fondata sull’opzione nonviolenta. Non ci sono alternative.
Vogliamo essere protagonisti di nuovi strumenti per raggiungere l’obiettivo della pace tra i popoli: dal sostegno attivo alla prevenzione dei conflitti alle mediazioni politico-diplomatiche, fino all’interposizione nonviolenta dei corpi civili di pace.
7. Al di là delle tante differenze, qual è per lei l’essenza di ogni essere umano?
Il rispetto e il riconoscimento dell’altro. Perché l’identità non è un catenaccio serrato a proteggerci dagli altri ma è la porta aperta della giustizia, dei diritti, della convivialità delle differenze.
http://www.nichivendola.it/
tratto da http://www.pressenza.com/it/2012/11/le-mie-priorita-per-litalia-intervista-a-nichi-vendola-3/
La risposta del Movimento Nonviolento:
Nell’intervista pubblicata il 12 novembre nell’edizione italiana di Pressenza [vedi sopra] e in corso di traduzione in varie lingue, Nichi Vendola ha dichiarato a proposito delle richieste contenute nella lettera aperte del Movimento Nonviolento ai partiti di centro-sinistra – riduzione delle spese militari, abolizione dell’acquisto degli F35 e ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan: “Sono favorevole a tutte queste proposte. Basti pensare che con un solo cacciabombardiere F35 si potrebbero costruire 387 asili nido con 11.610 famiglie beneficiarie e circa 3.500 nuovi posti di lavoro o aiutare con servizi di assistenza 14.742 famiglie con disabili e anziani non autosufficienti.”
Ecco il commento di Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento:
Innanzitutto ringraziamo Vendola, l’unico dei segretari a cui abbiamo scritto ad averci risposto. E’ una risposta positiva che ci fa molto piacere.
Lo incitiamo inoltre a portare avanti con forza questi temi, in modo che vengano aggiunti ai 10 punti della “Carta d’Intenti per l’Italia Bene Comune”.
Infine lo invitiamo ad approfondire la riflessione sulla nonviolenza come metodo da applicare anche nei rapporti interni dei partiti, consapevoli che si tratta di una questione delicata e difficile, ma fondamentale.
Ovviamente siamo a disposizione per qualsiasi confronto e collaborazione.
tratto da http://www.pressenza.com/it/2012/11/nichi-vendola-si-dichiara-daccordo-con-la-lettera-aperta-del-movimento-nonviolento/
sabato 10 novembre 2012
A COSA CI SERVE L'ESERCITO? QUANTO CI COSTA?
Un esercito di ufficiali e poca truppa
Mandorle e lussi per l'ammiraglio
La "spending review" delle Forze Armate sembra limitata a taglia della "bassa forza". Ma anche tra le divise si riscontrano situazioni di evidenti sprechi. A partire dal numero spropositato di generali e al supestipendio dei vicecapi di Stato Maggiore
I BENEFIT
Promozioni e case
Modico affitto per generali
Carriere molto più rapide che nel resto dell'apparato statale. E molto "affollamento" nei gradi più alti. Alloggi lussuosi da 400 metri quadri con marmi e parquet per alti ufficiali che non hanno obblighi di rappresentanza. Anche il cappellano se la passa bene
Un'armata di graduati
Tra benefit e promozioni
I dati mostrano che le Forze Armate italiane hanno una "testa" ipertrofica di 425 militari ciascuno dei quali comanda 418 soldati. Negli Usa sono 900 ma quasi un milione e mezzo di uomini. E nelle alte sfere stipendi decisamente buoni
Continuate a leggerlo cliccando su
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2012/11/08/news/la_casta_armata-46195729/?ref=HREC1-6
Siamo alle solite: non ci sono soldi per scuola, pensioni, sanità, malati di SLA ecc. ma per l'esercito i fondi non solo non mancano mai, ma ci sono sempre.
Due domande: fino a quando? A cosa serve l'esercito?
Mandorle e lussi per l'ammiraglio
La "spending review" delle Forze Armate sembra limitata a taglia della "bassa forza". Ma anche tra le divise si riscontrano situazioni di evidenti sprechi. A partire dal numero spropositato di generali e al supestipendio dei vicecapi di Stato Maggiore
I BENEFIT
Promozioni e case
Modico affitto per generali
Carriere molto più rapide che nel resto dell'apparato statale. E molto "affollamento" nei gradi più alti. Alloggi lussuosi da 400 metri quadri con marmi e parquet per alti ufficiali che non hanno obblighi di rappresentanza. Anche il cappellano se la passa bene
Un'armata di graduati
Tra benefit e promozioni
I dati mostrano che le Forze Armate italiane hanno una "testa" ipertrofica di 425 militari ciascuno dei quali comanda 418 soldati. Negli Usa sono 900 ma quasi un milione e mezzo di uomini. E nelle alte sfere stipendi decisamente buoni
Continuate a leggerlo cliccando su
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2012/11/08/news/la_casta_armata-46195729/?ref=HREC1-6
Siamo alle solite: non ci sono soldi per scuola, pensioni, sanità, malati di SLA ecc. ma per l'esercito i fondi non solo non mancano mai, ma ci sono sempre.
Due domande: fino a quando? A cosa serve l'esercito?
lunedì 5 novembre 2012
A PROPOSITO DELL'INCONTRO INTER RELIGIOSO TENUTOSI AD ALBENGA
Sabato 3 novembre si è tenuto ad Albenga l'incontro inter religioso avente per tema "Le figure di Gesù e Maria nella visuale islamica, cattolica, ortodossa ed evangelica". L'iniziativa era inserita nell'ambito dell'XI Giornata del dialogo cristiano-islamico.
Il sottoscritto notoriamente noncredente ma impegnato, ormai da anni, nella costruzione dell'incontro inter religioso e più arditamente nel dialogo tra credenti e non credenti, ha svolto il ruolo di moderatore.
I relatori sono stati Hamza Roberto Piccardo (per la Comunità Islamica), don Giorgio Pizzo (per la Migrantes diocesana), Claudiu Attila Mihai (per la Parrocchia della Chiesa Ortodossa Roma di San Remo, territorialmente competente per Albenga) e la signora Silvana Ronco Scaletta (del Forum Evangelico di Savona). Per il Forum, recentemente costituitosi, era la prima uscita pubblica.
I relatori hanno affrontato il tema in maniera brillante e, nonstante alcune incomprensioni, il dibattito che ha seguito le relazioni è stato breve ma intenso. Quello che più conta è stato l'alto numero di partecipanti, che ha superato le nostre più rosee aspettative: ho contato almeno 110 persone, bambini esclusi. Bisogna riconoscere che la Comunità che più si è 'spesa' per la serata è stata quella Islamica: almeno il 90 % dei presenti.
Con i tempi che corrono e i numerosi episodi di violenza e intolleranza a sfondo 'religioso' che quotidianamente affligono vari paesi, il nostro è stato un piccolo, piccolissimo ma significativo, contributo alla creazione di uan società aperta e tollerante.
C'è speranza se questo accade ad Albenga...
PS: già si parla di una nuova iniziativa e ho proposto anche la costituzione di un Tavolo Inter religioso a liello provinciale. Speriamo bene!
Il sottoscritto notoriamente noncredente ma impegnato, ormai da anni, nella costruzione dell'incontro inter religioso e più arditamente nel dialogo tra credenti e non credenti, ha svolto il ruolo di moderatore.
I relatori sono stati Hamza Roberto Piccardo (per la Comunità Islamica), don Giorgio Pizzo (per la Migrantes diocesana), Claudiu Attila Mihai (per la Parrocchia della Chiesa Ortodossa Roma di San Remo, territorialmente competente per Albenga) e la signora Silvana Ronco Scaletta (del Forum Evangelico di Savona). Per il Forum, recentemente costituitosi, era la prima uscita pubblica.
I relatori hanno affrontato il tema in maniera brillante e, nonstante alcune incomprensioni, il dibattito che ha seguito le relazioni è stato breve ma intenso. Quello che più conta è stato l'alto numero di partecipanti, che ha superato le nostre più rosee aspettative: ho contato almeno 110 persone, bambini esclusi. Bisogna riconoscere che la Comunità che più si è 'spesa' per la serata è stata quella Islamica: almeno il 90 % dei presenti.
Con i tempi che corrono e i numerosi episodi di violenza e intolleranza a sfondo 'religioso' che quotidianamente affligono vari paesi, il nostro è stato un piccolo, piccolissimo ma significativo, contributo alla creazione di uan società aperta e tollerante.
C'è speranza se questo accade ad Albenga...
PS: già si parla di una nuova iniziativa e ho proposto anche la costituzione di un Tavolo Inter religioso a liello provinciale. Speriamo bene!
PERCHE' VALDESI
Valdo
VALDO (da cui valdese) era un mercante di Lione, di poco anteriore a san Francesco (XII-XIII sec.) che decise, al termine di una profonda crisi spirituale, di vivere l'esperienza degli apostoli al seguito di Cristo. Di conseguenza vendette i suoi beni e si consacrò alla predicazione del Vangelo. Nel prendere questa decisione egli non intendeva ribellarsi alla Chiesa, pensava anzi di collaborare al suo rinnovamento seguendo l'esempio degli apostoli; fu invece scomunicato insieme ai suoi seguaci.
Il movimento valdese, detto "dei poveri", di Lione in Francia e di Lombardia in Italia, si estese in Europa, raccogliendo consensi fra il popolo.
Come tutti i movimenti detti "ereticali" fu oggetto di repressione e persecuzioni da parte dei poteri civili e religiosi. Malgrado questa situazione di difficoltà e la caccia dell'Inquisizione mantenne la sua coerenza e si espanse in tutta l'Europa medievale. Le zone in cui i valdesi si impiantarono con maggior consistenza furono le Alpi Cozie, la Provenza, la Calabria e la Germania meridionale. I loro predicatori itineranti erano detti barba (in dialetto "zio", nel senso di persona di riguardo) da cui barbetti, appellativo popolare con cui vennero designati sino in tempi recenti in Piemonte.
La testimonianza del movimento mantenutasi coerente attraverso i secoli dal XII al XVI era centrata su due aspetti del messaggio cristiano: la fedeltà al Vangelo e la povertà della Chiesa. La Chiesa cristiana, dissero i valdesi, si richiama a Gesù: ne deve perciò prendere alla lettera gli insegnamenti rinunciando perciò al potere politico, all'uso della forza ed alle alleanze con le potenze del mondo.
Quando sorse in Europa la Riforma protestante i valdesi vi aderirono nel 1532, organizzandosi in comunità alternative a quella di Roma, con predicatori locali per il culto e la celebrazione dei sacramenti.
La presenza protestante toccò in quel periodo molte altre città del Piemonte e d'Italia ed il cattolicesimo mantenne il suo predominio assoluto grazie solo all'azione della Controriforma e all'appoggio dei principi.
Per un complesso di circostanze favorevoli i valdesi riuscirono ad ottenere il riconoscimento della loro religione in un'area ben definita delle Alpi Cozie. Questo nucleo di poche migliaia di protestanti costituì per quasi tre secoli un avamposto del protestantesimo europeo.
I sovrani di Francia e Piemonte non abbandonarono però il progetto di riconquistarle alla fede cattolica. Momenti particolarmente tragici si ebbero nel 1655 quando il massacro conosciuto come le Pasque piemontesi sollevò l'indignata protesta dell'Europa e l'intervento dell'Inghilterra di Cromwell. Altro momento tragico si ebbe nel 1685, quando Luigi XIV re di Francia vietò ai protestanti la professione della loro religione e anche le chiese valdesi del Piemonte furono distrutte. Solo poche migliaia di superstiti si salvarono in Svizzera, rientrando dopo tre anni con una memorabile marcia conosciuta come il Glorioso Rimpatrio.
http://www.chiesavaldese.org/pages/storia/valdo.php
domenica 4 novembre 2012
D'ARMI ED'AMORE: LETTERA DA BARBIANA
D'armi e d'Amore, lettera da Barbiana
Dei giovani di Pax Christi trascorrono la Giornata delle Forze Armate a Barbiana, il paese dove operò don Lorenzo Milani. Soldati, obbedienza, missioni di pace: pensieri di don Sacco.
04/11/2012
Don Renato Sacco. Nella foto di copertina (dell'archivio Onu) la scultura dell'artista svedese Carl Fredrik Reuterswärd: Si trova a New York. S'intitola: Non violenza.
Sì, è proprio vero, tutto dipende dai punti di vista. Un conto è vedere un bombardamento da 5.000 metri di altezza e un conto è viverlo nello scantinato della propria casa. La stessa cosa vale per la ricorrenza del 4 novembre. Quest'anno mi trovo in Toscana, a Barbiana, dove è vissuto, è morto ed è sepolto don Lorenzo Milani, il sacerdote che scrisse la lettera ai cappellani militari («L'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni») e fu denunciato. Scrisse poi la lettera ai giudici, non potendosi presentare in tribunale perchè malato. Fu assolto ma, in appello, venne condannato. Intanto, però, il reo era morto il 26 giugno 1967.
Leggere queste lettere così intense, insieme al gruppo dei giovani di Pax Christi, che ha voluto essere qui proprio oggi, mi ha aiutato, come prete e come uomo, a vedere con occhi diversi anche il 4 novembre. Quanta retorica sulla guerra. Magari mascherata con parole altisonanti, tutte scritte con capolettere maiuscole: Eroi, Patria, Valori, Civiltà. Non sarebbe giusto anche ricordare il motivo per cui si celebra il 4 novembre? Cioè la fine della Prima guerra mondiale che ha visto, solo tra gli italiani: 600.000 morti, 947.000 feriti, mutilati e invalidi, 600.000 prigionieri e dispersi. Forse si dovrebbero ricordare le parole di papa Benedetto XV, del 1 agosto 1917: «Questa guerra, un’inutile strage». Perché non vivere questa ricorrenza partendo proprio dai dati impressionanti di questa "strage"? Perché si cerca sempre di presentare la guerra, magari chiamandola con altri nomi, come se fosse una cosa "umana"? Invece è pura follia, «alienum est a ratione» diceva Giovanni XXIII nella Pacem in Terris. Perché non partire, come credenti, proprio dal Vangelo, dal comandamento più importante di cui parla il Vangelo di oggi?
Don Milani scriveva nella lettera ai cappellani militari: «Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. E' troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa». Da Barbiana risuona ancora oggi un invito alla riflessione, a non lasciarci abbindolare dalle parole spesso superficiali e menzognere che accompagnano ogni operazione di guerra. Da Barbiana risuona un invito forte al primato della coscienza. Di fronte alla guerra, di fronte ad un ordine di uccidere deve prevalere la coscienza e non la giustificazione dell'obbedienza. «Bisogna aver il coraggio – scriveva don Milani – di dire ai giovani che l'obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni...». Mi chiedo: perché non aprire un serio confronto sulla guerra oggi? Sul servizio militare, non più obbligo di leva, ma professionale? Perché si è praticamente cancellato il servizio civile per i giovani? Perché non ci si riesce a confrontare né col mondo politico, né militare, né religioso? Perché non interrogarci sul ruolo dei cappellani militari oggi? Perché dopo 10 anni di guerra in Afghanistan non si vuole fare un serio bilancio dei veri risultati ottenuti? Quali?
Io sono stato lo scorso anno in Afghanistan così come sono stato molte volte anche in Irak. Quali i risultati di quella guerra, che Giovanni Paolo II definì "avventura senza ritorno"? Sono domande che pongo con molto rispetto nei confronti di tutte le vittime, anche dei soldati italiani uccisi, proprio perché credo di essere stato tra i pochissimi italiani presenti alle esequie celebrate a Baghdad il 18 novembre 2003, delle 19 vittime italiane a Nassirya, credo sia doverosa una riflessione diversa sulla guerra, con meno retorica e più realismo. «E’ davvero insopportabile questa retorica sulla guerra sempre più incombente e asfissiante», abbiamo scritto nell’appello ‘Eroi per la pace o vittime della guerra?’, firmato da oltre 100 preti. Perché si tende ad identificare la missione, il servizio, con l'attività militare? Perché anche nel campo educativo sembra sempre più prendere piede una cultura militare, armata? Perché non aprire una seria riflessione sul valore e sulla pratica del nonviolenza attiva? Non solo perché ce lo indica il Vangelo di Gesù, ma anche perché ce lo chiede la Costituzione Italiana che all'art. 11 recita: «L'Italia ripudia la guerra...».
Si sono proprio punti di vista diversi, ma da Barbiana i giovani mi hanno ricordato che don Milani invitava a stare sempre dalla parte dei più deboli. Il priore don Lorenzo ci ha creduto fino in fondo e ha pagato caro questo suo essere accanto ai più deboli: «Fa strada ai poveri senza farti strada». Allora anche il comunicato dei giovani di Pax Christi, leggibile sul sito paxchristi.it, merita di essere preso in considerazione, è una critica costruttiva, che apre a cammini di confronto, unica strada possibile per la pace, per la vita. «Come collettivo giovani di PaxChristi vogliamo invitare a una riflessione sul significato della festa delle Forze armate del 4 novembre, proponendo che essa diventi momento di commemorazione di tutte le vittime civili di tutte le guerre....Chiediamo che questa festa si trasformi da un'occasione di celebrazione a un momento di riflessione reale sulla funzione delle Forze armate e degli eserciti nazionali tenendo conto e ravvivando i principi ispirati dagli articoli 10-11 della nostra Costituzione».
don Renato Sacco, Pax Christi
L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA, ANCHE IL 4 NOVEMBRE
Chiedo scusa ai lettori, ma la TIM, con cui mi connetto a Internet, offre un vero servizio da repubblica delle banane, quale siamo...la connessione è lenta e discontinua -spesso manca all'improvviso. Ho già presentato richiami e telfonato mille volte al 119...ma il risultato è sempre lo stesso...
http://nonviolenti.org/cms/news/268/238/L-Italia-ripudia-la-guerra-anche-il-4-novembre/
L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA, ANCHE IL 4 NOVEMBRE
Ricordare le vittime delle guerre, costruire la pace e la sicurezza attraverso il Disarmo
Il 4 novembre non è un giorno di festa: è un giorno di lutto per le vittime delle guerre e d'impegno per il disarmo. Non festa ma lutto, perché si ricorda la fine di una "inutile strage", come Benedetto XV definì la prima guerra mondiale, e non si può non ricordare che tutte le guerre sono "inutili stragi" e tutti gli eserciti ne sono gli strumenti.
Non festa ma impegno, perché per ricordare davvero – e non retoricamente e ipocritamente – le vittime delle guerre l'unico modo è "ripudiare la guerra" e costruire la pace, attraverso la via realistica del disarmo.
Eppure il 4 novembre – unica celebrazione traghettata dal fascismo alla Repubblica - si continuano a "festeggiare" le forze armate, cioé gli strumenti di guerra. Ed è una festa che si prolunga tutto l'anno: nelle varie manovre finanziarie, qualunque siano i governi in carica, si continuano a dilapidare preziose risorse in spese militari e di armamenti (23 miliardi nell'ultimo anno), si continua a finanziare l'acquisto di terribili strumenti d'attacco come i caccia f-35 (15 miliardi previsti) ed a condurre operazioni di guerra come l'occupazione militare in Afghanistan, atti contrari alla Costituzione italiana. Si lascia invece quasi privo di risorse il Servizio Civile Nazionale, strumento di difesa civile della Patria prevista dalla legge e coerente con la Costituzione.
Del resto, le forze armate e i loro armamenti non sono solo strumenti di guerra potenziale, che diventano attuali solo quando entrano in azione. Le armi sono strumenti e mezzi di guerra in atto anche quando non sparano, perché la quantità enorme di risorse pubbliche che vengono destinate alle spese militari, alla preparazione della guerra contro minacce ipotetiche o pretestuose, lasciano la Patria senza difesa ed insicura rispetto alle reali minacce alle quali sono gravemente sottoposti, qui ed ora, tutti i cittadini, sul proprio territorio: la disoccupazione e la precarietà del lavoro, la povertà e l’analfabetismo, la fragilità edilizia in un paese sismico e i disastri idro-geologici…
Svuotare gli arsenali e riempire i granai, diceva il Presidente Pertini, ed invece abbiamo riempito gli arsenali e svuotato i granai, offrendo la peggiore delle risposte possibili alla crisi economica e sociale che stiamo vivendo.
Ricordare davvero le vittime delle guerre e costruire la pace può dunque avvenire solo avviando un serio disarmo, attraverso la riconversione dalla difesa militare alla difesa civile; liberando le risorse necessarie per l'affermazione dei “principi fondamentali” sanciti nei primi dodici articoli della Carta costituzionale, quelli che offrono la sicurezza della cittadinanza - il lavoro, la solidarietà, l’uguaglianza, la cultura, la difesa del patrimonio naturale – attraverso il ripudio della guerra e degli strumenti che la rendono possibile. Il 4 novembre, come tutto l'anno.
Per questo il nostro Movimento, insieme a Peacelink e al Centro di ricerca per la pace di Viterbo, ha lanciato per il 4 novembre la campagna "Ogni vittima ha il volto di Abele", affinché in ogni città si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre.
http://nonviolenti.org/cms/news/264/238/4-Novembre-non-festa-ma-lutto/
Movimento Nonviolento
www.nonviolenti.org
4 novembre 2012
--
_____________________
Movimento Nonviolento
via Spagna, 8
37123 Verona
tel. 045 8009803
Fax 045 8009212
www.nonviolenti.org
L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA, ANCHE IL 4 NOVEMBRE
Ricordare le vittime delle guerre, costruire la pace e la sicurezza attraverso il Disarmo
Il 4 novembre non è un giorno di festa: è un giorno di lutto per le vittime delle guerre e d'impegno per il disarmo. Non festa ma lutto, perché si ricorda la fine di una "inutile strage", come Benedetto XV definì la prima guerra mondiale, e non si può non ricordare che tutte le guerre sono "inutili stragi" e tutti gli eserciti ne sono gli strumenti.
Non festa ma impegno, perché per ricordare davvero – e non retoricamente e ipocritamente – le vittime delle guerre l'unico modo è "ripudiare la guerra" e costruire la pace, attraverso la via realistica del disarmo.
Eppure il 4 novembre – unica celebrazione traghettata dal fascismo alla Repubblica - si continuano a "festeggiare" le forze armate, cioé gli strumenti di guerra. Ed è una festa che si prolunga tutto l'anno: nelle varie manovre finanziarie, qualunque siano i governi in carica, si continuano a dilapidare preziose risorse in spese militari e di armamenti (23 miliardi nell'ultimo anno), si continua a finanziare l'acquisto di terribili strumenti d'attacco come i caccia f-35 (15 miliardi previsti) ed a condurre operazioni di guerra come l'occupazione militare in Afghanistan, atti contrari alla Costituzione italiana. Si lascia invece quasi privo di risorse il Servizio Civile Nazionale, strumento di difesa civile della Patria prevista dalla legge e coerente con la Costituzione.
Del resto, le forze armate e i loro armamenti non sono solo strumenti di guerra potenziale, che diventano attuali solo quando entrano in azione. Le armi sono strumenti e mezzi di guerra in atto anche quando non sparano, perché la quantità enorme di risorse pubbliche che vengono destinate alle spese militari, alla preparazione della guerra contro minacce ipotetiche o pretestuose, lasciano la Patria senza difesa ed insicura rispetto alle reali minacce alle quali sono gravemente sottoposti, qui ed ora, tutti i cittadini, sul proprio territorio: la disoccupazione e la precarietà del lavoro, la povertà e l’analfabetismo, la fragilità edilizia in un paese sismico e i disastri idro-geologici…
Svuotare gli arsenali e riempire i granai, diceva il Presidente Pertini, ed invece abbiamo riempito gli arsenali e svuotato i granai, offrendo la peggiore delle risposte possibili alla crisi economica e sociale che stiamo vivendo.
Ricordare davvero le vittime delle guerre e costruire la pace può dunque avvenire solo avviando un serio disarmo, attraverso la riconversione dalla difesa militare alla difesa civile; liberando le risorse necessarie per l'affermazione dei “principi fondamentali” sanciti nei primi dodici articoli della Carta costituzionale, quelli che offrono la sicurezza della cittadinanza - il lavoro, la solidarietà, l’uguaglianza, la cultura, la difesa del patrimonio naturale – attraverso il ripudio della guerra e degli strumenti che la rendono possibile. Il 4 novembre, come tutto l'anno.
Per questo il nostro Movimento, insieme a Peacelink e al Centro di ricerca per la pace di Viterbo, ha lanciato per il 4 novembre la campagna "Ogni vittima ha il volto di Abele", affinché in ogni città si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre.
http://nonviolenti.org/cms/news/264/238/4-Novembre-non-festa-ma-lutto/
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4 novembre 2012
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